Dato che ormai l’informazione passa principalmente su Facebook e Google e Twitter, se vieni bollato come diffusore di fake news, anche se stai dando una notizia vera, sei tagliato fuori dall’informazione, perché l’algoritmo non ti dà più la possibilità di essere visibile sui principali social e motori di ricerca.
Questa è concorrenza sleale a tutti gli effetti.
Dal momento che Open ha campo libero nel bollare a destra e a manca la concorrenza col potere di silenziare quanto non fa comodo e al contempo mangiarsi fette di pubblicità, è accettabile che questi siano gli standard a cui si adeguano gli algoritmi?
Se un tuo concorrente ti banna l’algoritmo non ti fa più vedere e così ti taglia fuori dalla possibilità di essere letto: questo può determinare la fine economica di un editore. Siamo al rogo 2.0 di Giordano Bruno.
È bene che i cittadini sappiano che dietro quelli che possono apparire come dibattiti semplicemente politici o ideologici in realtà si nasconde una vera e propria guerra di mercato, con enormi danni economici e la possibilità del silenziamento definitivo per tutti gli editori non allineati.
L’IFCN (International Fact-Checking Network)
Da aprile 2021 siamo membri dell’IFCN (International Fact-Checking Network). Che cosa si cela dietro questo forumche riunisce fact-checkers da tutto il mondo ed è ospitato dal Poynter Institute for Media Studies negli Stati Uniti?
Succede che le grandi compagnie Big Tech hanno deciso di attrezzarsi a riguardo in modo decisamente professionale per: “… riunire la crescente comunità di fact-checkers in tutto il mondo e i sostenitori dell’informazione fattuale nella lotta globale contro la disinformazione.”
Obiettivi virtuosi e nobili quelli dichiarati dall’ IFCN di verificare i fatti attraverso un attento lavoro di accertamento degli avvenimenti citati e dei dati usati. Ma non è passato molto tempo per capire che il vecchio adagio ‘chi controlla il controllore?’ tornasse a farsi sentire.
Il British Medical Journal bollato di fake news
Su ItaliaOggi un articolo del dicembre 2021 dal titolo “Se i controllori delle fake-news operano soltanto come censori” di Luigi Curini, spiega un caso di rilevanza niente affatto banale.
La rivista BMJ, British Medical Journal, uno dei più antichi e influenti giornali di medicina del mondo, ha visto un suo articolo venire bollato come ‘fake’ su Facebook dall’agenzia Lead Stories, che per l’appunto svolge il lavoro di fact-checking per Facebook.
L’articolo in questione, corredato da documenti, foto, email, audio e che aveva già passato la comune pratica di revisione scientifica prima della sua pubblicazione, sottolineava come nella sperimentazione sui vaccini di Pfizer ci potrebbe essere stato un problema rilevante di integrità dei dati.
Di fronte alla reazione scandalizzata degli editori di BMJ, Lead Stories ha candidamente ammesso che tale decisione, invece che sulla base di una qualche critica all’accuratezza di quanto riportato nell’articolo, al contrario si è basata sul fatto che l’articolo in questione era diventato popolare nelle cerchie dei critici dei vaccini su Facebook.
Curini conclude così la sua riflessione: “Siamo arrivati al punto che un articolo non è ‘fake’ per quello che c’è scritto, ma per le caratteristiche delle persone, buone o meno secondo valutazioni terze, che tale articolo apprezzano. Una nuova forma di ‘censura’ che forse neanche Orwell in 1984 avrebbe potuto immaginare. Il che fa riemergere con forza il tema del ruolo delle Big Tech in fatto di libertà di informazione.”
Quella che abbiamo appena letto è anche la metodologia usata da Open come da tutti i siti di fact-checking.
Loredana
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