
Il luogo in cui si troverebbe Shambhala
Nel corso della storia numerosi esploratori e ricercatori di saggezza spirituale hanno intrapreso spedizioni e missioni alla ricerca del paradiso perduto di Shambhala, e mentre molti hanno sostenuto di essere stati lì (come nel caso di Apollonio e di alcuni soldati dell’esercito Nazional Socialista Tedesco all’epoca di Hitler), nessuno ha però fornito prove della sua esistenza o è stato in grado di individuarne la posizione fisica su una mappa.
Tuttavia, la maggior parte dei riferimenti collocano Shambhala nelle regioni montuose dell’Eurasia.
I testi antichi Zhang Zhung identificano Shambhala con la “Valle del Sutlej” in Punjab o in Himachal Pradesh, una regione dell’India.
I mongoli ne collocano la posizione in alcune valli della Siberia meridionale.
Nel folklore di Altai si crede che il Monte Belukha nasconda una porta sotterranea che conduce proprio al regno di Shambhala. I moderni praticanti buddhisti sembrano convinti però che la vera ubicazione di Shambhala sia nelle alte sfere della catena dell’Himalaya, in quelle che oggi sono le montagne intorno al Dhauladhar Mcleodganj.
Alcune leggende tramandano la notizia secondo cui l’ingresso a Shambhala sia nascosto all’interno di un remoto monastero abbandonato in Tibet, custodito da esseri leggendari conosciuti come i “Guardiani Shambhala”.
I nazional socialisti tedeschi alla ricerca di Shambhala
Anche i Nazional Socialisti Hitleriani si dice che si interessarono con particolare veemenza alla ricerca del mitico regno di Shambhala per una serie di motivi legati agli interessi personali di Hitler e alle ambizioni culturali del regime tedesco dell’epoca. Ciò portò il governo del Führer ad intrecciare intensi rapporti con il corrispettivo tibetano al fine di ottenere aiuto nei propri progetti di espansione politico-culturale.
C’erano diversi elementi che ispiravano questa ricerca, due tra tutti: la ricerca della stirpe progenitrice dei tedeschi, la cosiddetta “razza ariana”, e il ritrovamento dei mitici regni sotterranei di “Shambala” e “Agarthi” nei quali sarebbero vissute, a loro dire, popolazioni scelte specializzate nel convogliare l’energia interiore (detta “Vril”).
I Nazional Socialisti collegavano l’esistenza del regno di Shambhala con quella, in un passato antico, del “regno di Thule Iperborea”, di cui aveva parlato lo storico greco antico Erodoto (V secolo a.C.), il quale aveva riportato in occidente una antichissima tradizione secondo la quale il continente di Iperborea sarebbe sorto nelle terre vicine al Polo Nord. A seguito di una forte glaciazione la sua popolazione si sarebbe spostata più a sud.
In epoca moderna, nel 1679, lo svedese Olaf Rudbeck identificò gli abitanti di Atlantide (di cui aveva parlato invece il filosofo greco Platone) con gli abitanti di Iperborea, e collocò la dimora di questi antichi abitanti al Polo Nord.
Anche René Guénon, Julius Evola, i Teosofi come la H. P. Blavatsky e Rudolf Steiner, il pioniere della libertà indiana Lokmanya Bal Gangadhar Tilak e William Fairfield Warren – fondatore e primo presidente dell’università di Boston – scrissero molto riguardo all’esistenza di Iperborea, e sostenevano che il genere umano avesse avuto origine proprio nei circoli polari e che successivamente, in seguito ad un disastro, i popoli che vi vivevano abbandonarono per dirigersi in altri luoghi.
Iperborea era la terra dove ebbe inizio “L’età dell’oro” della civiltà umana e della spiritualità, dove la primordiale umanità non sorse affatto dalla scimmia (come sostenuto nei miti creati a tavolino dagli illuministi nel lontano Settecento), ma al contrario ricadde progressivamente in quella condizione quando si allontanò fisicamente e spiritualmente dalla propria terra d’origine.
Si dice che un altro elemento alla base della ricerca di Shambhala da parte dei tedeschi fosse la convinzione che la Terra fosse cava all’interno.
Alla fine del XVII secolo l’astronomo britannico Sir Edmund Halley aveva suggerito per la prima volta che la Terra fosse vuota all’interno e che fosse formata da quattro sfere concentriche.
Una conferma letteraria più recente a questa teoria è venuta dal celebre scrittore francese Giulio Verne, che ha pubblicato il suo romanzo “Viaggio al centro della Terra” nel 1864.
A ciò, nelle motivazioni di ricerca che muovevano i gerarchi nazisti, si aggiunse la teoria dell’esistenza del “Vril”.
Nel 1871 il romanziere britannico Edward Bulwer-Lytton nel suo libro “La razza che verrà” descrisse una razza superiore, i “Vril-ya”, che vivrebbero sottoterra e aspirerebbero a conquistare il mondo tramite il “vril”, una forma di energia psicocinetica.
L’autore francese Louis Jacolliot aggiunse altri particolari nella sua opera “Le Fils de Dieu” (Il figlio di Dio) del 1873 e in “Les Traditions indo-européeenes” (Le tradizioni indo-europee) del 1876. Anche il noto Hitlerista esoterico Miguel Serrano scrisse molto a tal proposito.
In questi testi l’energia “Vril” veniva messa in relazione con l’esistenza di popoli che vivrebbero nel sottosuolo. I sopravvissuti all’ultima glaciazione avrebbero avuto in progetto di convogliare la loro massa di energia “Vril” per diventare “superuomini” e palesarsi finalmente in superficie.
Infine il celebre filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) ha anch’egli enfatizzato il concetto di “Übermensch” (il “Superuomo”) iniziando la sua celebre opera “Der Antichrist” (L’anticristo, del 1888) con la frase: “Vediamoci per quello che siamo. Siamo Iperborei. Sappiamo fin troppo bene come stiamo vivendo lontani da questa rotta”.
Dunque, secondo queste leggende, sembrerebbe che molti tedeschi ad inizio Novecento erano convinti di essere i discendenti della stirpe Ariana che si era spostata verso sud partendo dalla terra originaria di “Iperborea”, collocata al Polo Nord – o perlomeno da una terra circumpolare molto vicina all’Artide – e che erano destinati a diventare la “razza ventura” tramite l’utilizzo del “Vril” (un’energia interna agli esseri umani, parallela a quella presente al centro della Terra). Secondo Serrano, Hitler era a conoscenza di tali leggende e le fece proprie.
Purtroppo ad oggi nessuno sembra essere riuscito ad individuare l’accesso fisico al mitico regno di Shambhala né la sua esatta ubicazione sulla Terra, ma restano le indicazioni spirituali per poter parlare di esso come di un regno interiore, dunque immateriale e apparentemente intangibile, nel quale vivrebbero su questa Terra i saggi e gli illuminati.
Non è difficile inoltre individuare nelle descrizioni di Shambhala come di un luogo spirituale quello che Gesù chiamava il “regno dei cieli” o “regno di Dio”, che era al centro della sua predicazione, o quello che era stato annunciato dai profeti dell’Antico Testamento, o quello che viene descritto – a proposito della profezia sull’avvento futuro di Shambhala – nel libro dell’Apocalisse come “la Gerusalemme celeste” che “scenderà dal cielo”, come nuova città degli uomini alla fine dei tempi (da intendersi come fine dell’era dell’acquario, astrologicamente ed esotericamente parlando, ovvero la fine del ciclico “Kali-Yuga”).
Che potesse essere anche una città simbolico-spirituale ne aveva parlato ad esempio Agostino di Ippona nel suo “La città di Dio”.
Un autore che recentemente ha approfondito l’aspetto interiore del “regno di Dio”, descrivendolo come il luogo della “battaglia spirituale” per eccellenza, è stato Lev Tolstoj nella sua opera “Il regno di Dio è in voi” (1893).
Uno dei suoi discepoli successivamente ha unito questi insegnamenti a quelli della tradizione induista applicandoli alla prassi politica ed ottenendo risultati molto validi, e parliamo del Mahatma indiano Gandhi, che operò dapprima in Sudafrica, luogo nel quale successivamente si sviluppò la lotta di liberazione dall’apartheid capeggiata da Nelson Mandela, e poi in India, ottenendo con la sua lotta addirittura l’indipendenza del suo Paese dall’impero coloniale britannico.
Tutto il cristianesimo prevede questa dialettica tra la “città celeste” e la città terrena, e ciò costituirebbe un elemento di convergenza tra le religioni cristiana, induista e tibetano-buddhista, in particolare tra la visione storico-escatologica propria del cristianesimo e la tradizione maggiormente intimista, meditativa ed individualista propria delle religioni orientali.
Durante un viaggio intorno al mondo, Shar Khentrul Jamphel Lodrò, monaco tibetano di tradizione yonang, tenne alcune conferenze sugli insegnamenti buddhisti del sistema di Kàlacakra. Fu qui che prese coscienza di quanto poco fosse conosciuta la reale natura del leggendario regno di Sambhala. Rientrato dal viaggio, decise di scrivere un testo essenziale e accessibile per chiarire che cosa Sambhala fosse effettivamente, e come sia possibile sperimentare la sua realtà più profonda. Dapprima Khentrul Rinpoche passa in rassegna le leggende e le storie d’Asia e d’Occidente che da secoli hanno gravitato su Sambhala, presentando le variegate interpretazioni nate intorno a questo mitico regno. Comincia poi ad illustrare il concetto essenziale di karma, evidenziando come questo meccanismo condizioni pervasivamente la manifestazione della realtà che ognuno di noi sperimenta. Il modo di pensare di un individuo è la causa primaria del modo in cui agisce, e sono proprio alcuni tipi di azione a generare le condizioni della sofferenza e del conflitto, all’interno di se stessi e nei confronti degli altri. L’esperienza di Sambhala, spiega Rimpoche, può sorgere all’interno della mente di ognuno di noi. Gli insegnamenti buddhisti di Kàlacakra, connessi a questo regno in modo particolare, sono in grado di dissipare le afflizioni mentali che generano le condizioni della sofferenza, conducendo alla scoperta della natura fondamentale che dimora all’interno di ogni individuo. Si spalanca così la possibilità di un luogo in cui riposa la perfezione dell’armonia e della pace, uno stato duraturo di felicità affrancato da sofferenza e conflitto, strettamente connesso all’ambiente in cui si vive e a tutti gli altri esseri.
SHAR KIENTRUL JAMPEL LODRO’ e’ nato e cresciuto in Tibet. Ha studiato per oltre trent’anni insieme a vari maestri delle principali tradizioni di buddhismo tibetano. E’ giunto così a considerare la sua concezione del buddhismo come non settaria. Pur avendo sviluppato un profondo rispetto per tutte le tradizioni spirituali, per il suo percorso personale ha scelto di specializzarsi negli insegnamenti del Kàlacakra e ha scritto alcuni libri che espongono in dettaglio questo sentiero. Khentrul Rinpoche vive a Melbourne, in Australia, e si dedica principalmente all’insegnamento con studenti provenienti da tutto il mondo.
Menci Simon e Conciarelli Roberta
11 giugno 2025