Unione e divisione: l’energia nucleare (terza parte)
Pubblicato il 8 Aprile 2025
Pubblicato il 8 Aprile 2025

Unione e divisione: l’energia nucleare (terza parte)
In questa foto aerea realizzata da droni del 20 marzo 2011, scattata 9 giorni dopo l’inizio dell’incidente scatenato dal terremoto dell’11 marzo 2011 e dallo tsunami da esso creato, si vede a sinistra ciò che rimane dell’edificio del reattore nucleare numero 4 e a destra ciò che rimane dell’edificio del reattore nucleare numero 3 della centrale nucleare a fissione di Fukushima Dai-ichi nel nord del Giappone.
(Crediti: Air Photo Service Co. Ltd., Giappone)

Il nostro pianeta è un sistema chiuso

Le centrali nucleari a fissione si annoverano tra i sistemi energetici più sofisticati e complessi mai progettati. Ogni sistema complesso, per quanto ben progettato e realizzato, non può essere considerato esente da rischi.
Il problema principale, come vedremo in maniera approfondita più avanti, è che basta che accada un evento per condizionare in maniera negativa gli ecosistemi e il ciclo vitale di piante, animali ed esseri umani, come minimo per decenni.


ll pianeta su cui siamo nati, che noi chiamiamo Terra, è un sistema chiuso dal punto di vista della materia che lo compone; tutti i cicli bio-geo-chimici che avvengono sulla sua superficie sono interconnessi ed utilizzano sempre gli stessi atomi di materia che non fanno altro che trasformarsi, combinandosi e scombinandosi, per creare tutte le molecole che noi conosciamo e grazie alle quali respiriamo, ci nutriamo e in sintesi viviamo.
Tradotto in parole semplici questo significa che l’immissione in atmosfera, nelle falde acquifere o nei mari di elementi radioattivi (radionuclidi), può contaminare grandi aree dell’intero pianeta addirittura entro pochi giorni. Grazie al semplice soffiare del vento, al ciclo dell’acqua di evaporazione e condensazione (la pioggia) e al semplice fluire delle correnti marine, una data quantità di elementi radioattivi (isotopi radioattivi) emessa da un certo luogo può contaminare l’aria, l’acqua e il cibo e tutti gli esseri viventi che si trovano agli antipodi rispetto al punto originario di rilascio di questi elementi.

L’inquinamento decennale degli oceani causato da un solo incidente

Uno degli studi più recenti sul campo che abbiamo è purtroppo proprio quello relativo alla contaminazione del pesce nell’Oceano Pacifico, a seguito del disastro nucleare della centrale a fissione di Fukushima Dai-ichi in Giappone.
Questo incidente ha rilasciato, tra gli elementi radioattivi dispersi sia in aria che nel mare, anche degli atomi di cesio instabili: i radionuclidi 134 Cs e 137 Cs che, per semplicità indicheremo in seguito in modo letterale per facilitare la comprensione, chiamandoli per semplicità “cesio 134” e “cesio 137”.

Questi due isotopi sono prodotti tipici delle centrali nucleari a fissione e per questo sono stati presi in esame.
Ricordiamo che per questi due radionuclidi:

  • per il cesio 134 il tempo di decadimento è di 2,06 anni; una data quantità di cesio 134 può considerarsi quasi del tutto estinta dopo circa 10 anni.
  • per il cesio 137 il tempo di decadimento è di 30,17 anni; una data quantità di cesio 137 può considerarsi quasi del tutto estinta dopo circa 150 anni.

(Nota: il criterio utilizzato sopra per considerare un elemento radioattivo (radionuclide) come non più pericoloso (decaduto) è quello di considerare semplicemente trascorso il suo tempo di dimezzamento per 5 volte, come illustrato in questo semplice grafico).

A marzo 2011, nei giorni immediatamente successivi all’incidente nucleare giapponese, gli uffici dell’agenzia federale statunitense NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), mediante l’utilizzo di modelli di simulazione, hanno emesso delle previsioni sulla dispersione a lungo termine di cesio 137, l’isotopo più longevo.
È bene ribadire che in quei giorni sono stati utilizzati modelli di simulazione perché sapere con esattezza dove, in quale concentrazione e con quali tempistiche il materiale radioattivo rilasciato dalla centrale nucleare si disperda negli oceani è per noi ancora assolutamente impossibile.

Previsione da parte del NOAA della diffusione dell’isotopo radioattivo “cesio 137” a 43 giorni dall’incidente (1 mese e mezzo circa).

Previsione da parte del NOAA della diffusione dell’isotopo radioattivo “cesio 137” a 367 giorni dall’incidente (1 anno circa)

Previsione da parte del NOAA della diffusione dell’isotopo radioattivo “cesio 137” a 1412 giorni dall’incidente (3,8 anni circa)

Uno dei pochi metodi per misurare la contaminazione radioattiva delle acque dell’Oceano Pacifico è stato quello di prendere in considerazione i pesci e le loro rotte migratorie. Mentre molti degli organismi marini esposti agli elementi radioattivi rimangono nei pressi del Giappone, alcune specie sono altamente migratorie e nuotano attraverso il Pacifico settentrionale fino alla costa occidentale del Nord America.
Due esempi di questi pesci migratori sono il tonno rosso del Pacifico (Thunnus orientalis) e il tonno bianco (Thunnus alalunga); sia il cesio 134 che il cesio 137 sono stati rilevati in queste specie pescate nel Pacifico orientale.

In uno studio su cinquanta tonni rossi campionati al largo della costa occidentale degli Stati Uniti nel 2012, i tonni rossi più piccoli (immigrati di recente dal Giappone) presentavano isotopi di cesio 134 e cesio 137 elevati nel tessuto muscolare bianco, mentre la maggior parte dei pesci più grandi e più vecchi non presentava cesio 134 e solo livelli di fondo di cesio 137.

Questa spiegazione sopra riportata è stata inserita per far comprendere meglio il significato di “sistema chiuso” e che l’immissione nei cicli naturali di elementi realizzati artificialmente come gli isotopi radioattivi permangono fino al naturale decadimento di questi ultimi.

L’impossibilità di azzerare il rischio di incidenti nelle centrali nucleari

Come abbiamo già detto le centrali nucleari a fissione sono tra i sistemi energetici più sofisticati e complessi mai progettati e quindi proprio per questo non possono essere considerati esenti da rischi. Per attestare la veridicità di questa affermazione basta semplicemente ricordare gli eventi accaduti nel passato: i due esempi storici eclatanti sono stati il disastro nucleare della centrale di Chernobyl del 1986 e il disastro nucleare della centrale di Fukushima Dai-ichi del 2011.
Ma anche se di una gravità minore (per fortuna) molti altri incidenti nucleari sono avvenuti in passato, come ad esempio quello della centrale nucleare di Three Mile island nel 1979.

La giornalista e scrittrice statunitense Stephanie Cooke, durante la sua carriera si è sempre occupata di disastri nucleari divenendo una esperta del settore in ambito giornalistico. Nel 1979 all’epoca di questo incidente nucleare tutto americano, lavorava per l’Associated Press. Ha dichiarato in un suo libro:

«I reattori stessi sono macchine enormemente complesse con un numero incalcolabile di cose che potrebbero andare storte. Quando accadde a Three Mile Island nel 1979, fece emergere un’altra linea di faglia del mondo nucleare. Un malfunzionamento ne innescò un altro, e poi una serie di altri, finché il nucleo stesso del reattore iniziò a fondere, ed anche gli ingegneri nucleari più preparati al mondo non seppero come reagire. L’incidente rivelò serie deficienze in un sistema che si credeva proteggesse la salute e la sicurezza pubbliche.»

Abbiamo deciso di pubblicare queste parole perché il cuore del problema è proprio questo:

quello che il giorno prima non era nemmeno pensabile che accadesse,
il giorno dopo è accaduto ed ha portato conseguenze devastanti.

La stessa identica cosa è avvenuta sia per il disastro nucleare di Chernobyl, che per quello di Fukushima Dai-ichi, che per tutti gli altri incidenti nucleari della nostra storia.

Fermo immagine tratto da un video originale realizzato l’11 marzo 2011 in cui si vede il momento dell’impatto dello tsunami causato dal terremoto di magnitudine 9.0, mentre si infrange contro le barriere di protezione della centrale di Fukushima Dai-ichi. Nel momento dell’impatto l’altezza della cresta dell’onda anomala è stata stimata essere arrivata a circa 46 metri di altezza sul livello del mare.


Ad oggi anno domini 2025 è divenuto fatto assodato e di pubblico dominio che il RISCHIO che si verifichi un evento non può mai essere eliminato ma solamente ridotto. Peccato che nel caso di un incidente nucleare il DANNO prodotto sia sempre ad altissimo impatto, di elevata durata nel tempo e direi quasi sempre comporti conseguenze mortali.

I “rischi non calcolati” in fase di progettazione delle centrali nucleari

In estrema sintesi vorrei esporre pochi esempi semplici e lampanti di rischi non calcolati in fase di progettazione delle centrali nucleari a fissione. Se fossero stati previsti, questi incidenti non sarebbero avvenuti.

  • Chernobyl (USSR, 1986): errore umano procedurale connesso a problemi tecnici del reattore al momento sconosciuti (cause esatte ancora ad oggi sconosciute, esistono solo teorie).

  • Three Mile Island (USA, 1979): sequenza di errori umani connesso a probabili problemi tecnici dell’impianto (anche in questo caso le cause esatte sono ancora ad oggi sconosciute, esistono solo ipotesi sui malfunzionamenti dell’impianto).

  • Fukushima Dai-ichi (Giappone, 2011): la centrale fu progettata e costruita con barriere per resistere a tsunami di altezza massima di circa 10 metri. Peccato che il sisma di magnitudine 9.0 che si verificò l’11 marzo 2011 alle ore 14:46 (UTC +9) generò un’onda anomala dall’altezza di circa 13-14 metri. L’acqua marina allagò i locali tecnici dell’intera centrale e rese inutilizzabili gli impianti per il raffreddamento dei reattori nucleari.

Invece queste considerazioni sui rischi non calcolati in fase di progettazione le vorrei mettere in evidenza e dedicarle proprio a tutti coloro che pensano che “queste erano centrali nucleari di vecchia progettazione, quelle di nuova generazione sono più sicure“. Ecco alcuni esempi di potenziali cause di incidenti a centrali nucleari non prevedibili in fase di progettazione:

  • Guerre tra nazioni: un esempio reale lampante è la guerra in corso tra Russia e Ucraina. L’Ucraina con i suoi 15 reattori nucleari attualmente in funzione è altamente vulnerabile a una crisi degli stessi. Dal 2022 è stata bombardata e invasa via terra dall’esercito Russo e questo genere di attività di durata indeterminata potrebbe portare alle sue centrali nucleari una serie di concause imprevedibili.
    Alcuni potrebbero essere ad esempio degli attacchi militari diretti, il tentativo di conquista da parte dell’esercito invasore per la conquista di un obiettivo militare sensibile, la mancanza di personale qualificato, la mancanza di approvvigionamenti, la mancanza di combustibile per gli impianti d’emergenza, la semplice impossibilità di reperire materiali specifici per le riparazioni in caso di guasto. Un elenco che potrebbe diventare molto lungo.

  • Cambiamenti climatici imprevedibili: le centrali nucleari hanno bisogno di grandi quantità di acqua per il costante raffreddamento dei reattori nucleari a fissione e per la produzione di energia elettrica. Come stiamo vedendo in questi anni nel nostro paese, basta che si modifichino le quantità di pioggia a livello annuo o che si verifichino periodi di siccità prolungati per avere una quantità di acqua insufficiente al funzionamento in sicurezza di queste. Meno pioggia significa più irraggiamento solare e quindi una sempre maggiore evaporazione a fronte di ridotto approvvigionamento da fiumi o corsi d’acqua per il bacino idrico utilizzato come riserva d’acqua per il raffreddamento. Un evento del genere comporterebbe come minimo la chiusura dell’impianto: questo tipo di evento è stato preso in seria considerazione ad esempio dall’Unione Europea, ma sono eventi fuori dal controllo umano. Un periodo di siccità molto prolungato potrebbe divenire un serio problema per l’approvvigionamento energetico di nazioni il cui sostentamento è basato sull’energia nucleare.
  • Eventi naturali mai verificati a memoria d’uomo: tralasciando ad esempio il violentissimo sisma di magnitudine 9.0 che tramite lo tsunami con onde alte 14 metri ha in pratica devastato la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, possiamo prendere in considerazione la sempre crescente potenza degli uragani nel Centro-America e Nord-America.
    Come già affrontato in questo articolo, grazie alla temperatura media dell’acqua dei mari e degli oceani sempre più elevata, uragani con venti sempre più intensi e veloci si originano da zero fino alla massima categoria di potenza F5 in appena pochi giorni. Addirittura recentemente alcuni studiosi del settore hanno proposto l’aumento della scala Fujita, quella utilizzata per la misurazione della potenza degli uragani, dal massimo attuale di F5 a un nuovo massimo di F6. Questa nuova categoria di potenza F6 prevederebbe venti con velocità superiore a 310 Km/h: ricordiamo che il vento all’interno di un uragano trasporta a livello del suolo una grande quantità di detriti e oggetti. Più è forte e intenso l’uragano più sono grandi e pesanti gli oggetti che esso trasporta. Se uno di questi uragani dovesse impattare con centrali nucleari non possiamo sapere con certezza gli effetti che causerebbe sia strutturalmente sia agli impianti “secondari” come quello di raffreddamento. Ricordiamo che l’acqua che passa direttamente a contatto con i reattori nucleari diviene altamente radioattiva.

Riassumendo la presenza di ogni centrale nucleare a fissione sul pianeta rappresenta quindi una potenziale fonte di rischio non azzerabile e quindi una potenziale fonte di danno ad altissimo impatto per gli ecosistemi e la vita biologica.

Il problema della reazione nucleare di fissione (divisione di atomi) è la intrinseca caratteristica di produrre, oltre a grandi quantitativi di energia, anche materia instabile (radionuclidi) e quindi radioattiva.

Basta un incidente di grande rilevanza per avvelenare per diversi anni in una maniera che non si vede, non si sente, non ha profumo e non si tocca tutto ciò che riguarda la vita biologica: organismi viventi e catene alimentari.
La radioattività è rilevabile solo grazie a misure strumentali o in base ai suoi effetti (malattie, morte).

Questo è il punto. Nel prossimo articolo andremo a vedere nel dettaglio esempi reali e pratici che aiutano a comprendere il perché gli atomi instabili (radionuclidi) prodotti dalla fissione nucleare siano così pericolosi.

Notizie, dati e considerazioni

Andrea Macchiarini

8 aprile 2025

Fonti e riferimenti

Immagine in evidenza:

https://cryptome.org/eyeball/daiichi-npp/daiichi-photos.htm




Immagini e video:

https://vlab.noaa.gov/web/nws-heritage/-/using-ocean-modeling-to-track-nuclear-contamination-nws-responds-to-the-fukushima-daiichi-disaster

https://www.grs.de/en/news/ten-years-fukushima




Bibliografia e siti internet consultati:

https://www.neimagazine.com/news/tepco-concealed-core-meltdowns-during-fukushima-accident-4931915/?cf-view

http://hyperphysics.phy-astr.gsu.edu/hbase/Nuclear/halfli.html#c1

https://www.stormsmith.nl/nuclearenergysys.html

https://www.fisheries.noaa.gov/west-coast/science-data/fukushima-radiation-us-west-coast-tuna

https://web.archive.org/web/20120811213917/http://uab.academia.edu/Fran%C3%A7oisDiazMaurin/Papers/848047/Fukushima_Consequences_of_Systemic_Problems_in_Nuclear_Plant_Design

https://www.iris-sostenibilita.net/iris/sostenibilita/accessibile/percorso05-acc.htm

Stephanie Cooke (2009). In Mortal Hands: A Cautionary History of the Nuclear Age, pagina 280.

https://civil-protection-knowledge-network.europa.eu/eu-overview-risks/human-induced-risks/nuclear-and-radiological-accidents

https://www.nrc.gov/docs/ML1536/ML15365A567.pdf

https://www.ilpost.it/2014/03/29/three-mile-island-incidente-nucleare/

http://www.iter-consult.it/ITER_Report_Fukushima_Accident.pdf

https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC119178

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