L’origine del pensiero mondialista
Per comprendere i termini di questo complesso fenomeno, evitando la tentazione di chi vorrebbe liquidarlo come complotto o cospirazione, non è sufficiente però ricorrere alle limitate categorie dell’economia e della geopolitica, ma è necessario analizzarne i presupposti storici e filosofici, spirituali e teologici per ricostruire le tappe che hanno portato nel corso dei secoli allo sviluppo dell’ideologia mondialista.
Il pensiero mondialista affonda le sue radici in un preciso contesto storico, il mondo protestante dei secoli XVII e XVIII. L’Inghilterra protestante affermò l’idea di una Nuova Era di trasformazione del mondo, un progetto politico di rinnovamento dell’umanità.
È possibile parlare di una continuità ideale che stringe insieme, attraverso i secoli, una serie di forze e poteri in una complicità di interessi e di azioni.
Possiamo individuare i prodromi del pensiero mondialista riferendoci alle teorie di Sir Francis Bacon, politico e filosofo inglese nato a Londra nel 1561. Sir Bacon, già all’epoca, immaginava una società governata da un’élite di scienziati che avrebbe permesso alla scienza di progredire. È così che inizia la storia delle élite e della scienza asservita al potere.
Il suo romanzo, Nova Atlantis, pubblicato nel 1627, è un’utopia a sfondo tecnocratico dove scienza e benessere si intrecciano grazie all’opera degli scienziati. Sarà questo il testo di riferimento da cui nascerà la prima società scientifica del mondo, la Royal Society, che ancora oggi adotta la Nuova Atlantide come testo di base. Nel disprezzo di Bacon per la gente comune e nel suo considerare la scienza un mezzo per insegnare al popolo a sottostare all’autorità di governo, possiamo già intravedere i pericolosi segni dei nostri retroscena attuali.
Più tardi, quando Illuminismo e Rivoluzione francese concepirono un mondo perfetto fondato sulla ragione, il filosofo Claude-Henry de Rouvroy, conte di Saint Simon, teorizzò a sua volta che scienziati e tecnici fossero i più adatti a governare lo Stato per risolvere i problemi sociali e controllare le “masse ignoranti”, tanto che più di uno storico definì Saint Simon il precursore della tecnocrazia e del totalitarismo.
In quegli stessi anni, in Inghilterra, gli studi di Erasmus Darwin, nonno di Charles, indagavano la possibilità di scoprire il principio della vita. Teorie, le sue, che non a caso ispirarono Mary Shelley nella scrittura del suo più famoso romanzo, Frankenstein.
Si fa strada lentamente, negli ambienti letterari e scientifici inglesi all’inizio del XIX secolo, la necessità di rendere l’uomo non più un prodotto della natura, come tutti gli altri, ma un essere costruito in laboratorio; è così che gli scienziati si pongono l’obiettivo di rubare il segreto della vita alla natura e sostituirsi ad essa, tema tanto ricorrente nelle conversazioni alla Royal Society dell’epoca e quanto mai caro alle nostre élite contemporanee. Sono questi i primi passi di quello che oggi definiamo transumanesimo.
Bisogna tenere presente che la Royal Society nacque non tanto con l’idea di far progredire le scienze, quanto piuttosto fare della scienza lo strumento a sostegno del potere politico e ideologico dell’Inghilterra e giustificarne il dominio sul mondo.
Una figura importantissima in questo contesto è quella di Thomas Robert Malthus, economista inglese del XVIII secolo, dal quale Darwin stesso derivò il concetto di ‘selezione naturale’. Un passaggio importante questo, poiché il concetto di ‘selezione del più adatto’, che era già legge di mercato nell’Inghilterra di metà Ottocento, venendo elevato a scienza dalla teoria darwiniana, contribuì a rafforzarla fornendo una giustificazione naturale alle disuguaglianze sociali e al dominio coloniale inglese, che a quel punto si ritenne teoricamente autorizzato a depredare e opprimere i popoli sottomessi.
Thomas Malthus teorizzò la necessità di limitare il moltiplicarsi della popolazione, soprattutto nelle regioni più povere della terra, dal momento che, lui osservò, la popolazione cresce in progressione geometrica, mentre la disponibilità delle risorse alimentari aumenta in progressione aritmetica. La teoria malthusiana incorpora comunque altre teorie precedenti: la guerra di tutti contro tutti di Thomas Hobbes, bellum omnium contra omnes e la selezione naturale di Darwin, dove il più forte deve prevalere.
Il pensiero malthusiano contiene in sé gli elementi fondamentali della società capitalistica e imperialista dell’Inghilterra vittoriana, poiché rappresenta la garanzia scientifica a un modello sociale collegato all’evoluzione e al miglioramento della specie, riuscendo allo stesso tempo a dare una veste scientifica al sentimento classista e razzista inglese del tempo.
Malthus è convinto che per prevenire la catastrofe si debbano mantenere i salari delle classi povere a livelli minimi di sussistenza, rimuovendo i sussidi per i meno abbienti, in modo da non invogliare le loro famiglie a riprodursi in maniera eccessiva.
Il problema della povertà, secondo Malthus, si poteva risolvere in maniera molto semplice: eliminare fisicamente i poveri.
Un altro efficace rimedio da lui teorizzato per ridurre la popolazione era il ‘denatalismo’, ridurre cioè le nascite degli esseri umani nel mondo. Oltre alla castità, ricordiamo che Malthus era un ‘religioso’, altre vie repressive utili per realizzare questo obiettivo e aumentare la mortalità della gente erano le guerre, le epidemie e le carestie. C’era poi la via cosiddetta ‘preventiva’, che si realizzava incentivando comportamenti ritenuti ‘devianti’, ma efficaci nella prevenzione delle nascite: adulterio, sodomia e omosessualità.
Considerando questi presupposti storici è evidente che l’idea ossessiva delle élite di voler ridurre numericamente la popolazione mondiale affondi i suoi presupposti nel malthusianesimo e nello spirito britannico, superbo e colonialista del XIX secolo.
Loredana
Puoi leggere qui l’articolo precedente: il Nuovo Ordine Mondiale parte prima.